L’esigenza di provvedere stabilmente all’assistenza spirituale dei militari ha origini antichissime: sembra dai tempi di Costantino.
Dal periodo carolingio (VIII-IX sec. d.C.) divenne usuale la presenza di un corpo di Sacerdoti e Diaconi organizzati al seguito dell’Esercito, con un capo, detto Cappellano Maggiore o Vicario Castrense. Tale organizzazione divenne sempre più indipendente dai Vescovi locali (in Spagna dal 1571, in Austria dal 1720, in Piemonte nel 1733).
Dal periodo carolingio (VIII-IX sec. d.C.) divenne usuale la presenza di un corpo di Sacerdoti e Diaconi organizzati al seguito dell’Esercito, con un capo, detto Cappellano Maggiore o Vicario Castrense. Tale organizzazione divenne sempre più indipendente dai Vescovi locali (in Spagna dal 1571, in Austria dal 1720, in Piemonte nel 1733).
Per sopperire alle esigenze spirituali dei militari, tutti gli Stati italiani preunitari avevano cappellani militari facenti parte dell’organizzazione castrense. Nel territorio Lombardo-Veneto, prima delle guerre del Risorgimento, era in vigore l’Ordinamento austriaco; nel 1803 la Repubblica Italiana, succeduta alla Repubblica Cisalpina per volontà di Napoleone, con Decreto del Vice Presidente Francesco Melzi d’Eril ripristinò i cappellani militari nell’Esercito.
In sostanza, il cappellano militare nasce per sopperire alle particolari necessità dei fedeli di professione militare e alle difficoltà pratiche (ad es. la mobilità) che ostacolavano la cura delle anime da parte dei Parroci territoriali. Nei Ducati di Parma e Piacenza dal 1816 il Reggimento di linea aveva un cappellano Tenente; nel 1839 nel Granducato di Toscana vi erano tre cappellani; nello Stato Pontificio l’ufficio di Cappellano Maggiore fu istituito da Pio IX nel 1850; nel Regno delle Due Sicilie, fino al 1861 era il Re a nominare i cappellani e il Cappellano Maggiore aveva giurisdizione quasi episcopale. Nel 1865 le Forze armate del Regno d’Italia contavano 189 cappellani. Con l’occupazione di Roma del 1870 e le leggi anticlericali il numero fu ridotto fino alla completa eliminazione nel 1878.
Con la circolare del 12/04/1915 il Gen. Cadorna reintrodusse la figura del cappellano e furono arruolati diecimila “preti-soldati” di cui 2070 destinati ai corpi combattenti. L’01/06/1915 la Sacra Congregazione Concistoriale nominò il primo Vescovo Castrense, S.E.R. Mons. Angelo Bartolomasi. Il 27/06/1915 il Governo italiano e la Santa Sede Apostolica si accordarono sull’istituzione della carica di Vescovo di Campo e della Curia Castrense. Durante la Prima Guerra Mondiale, il contributo dei cappellani si orientò verso i feriti, al conforto dei moribondi, all’assistenza alle truppe, alle popolazioni civili e ai prigionieri; 110 seguirono i propri reparti nei campi di prigionia; ne morirono 93; i più eroici ebbero ricompense al valor militare. Eppure nel 1922 il loro servizio fu di nuovo soppresso, tranne quello per la raccolta delle salme dei caduti in guerra e la sistemazione dei cimiteri di guerra, con pochi cappellani per la Marina Militare. Gli Stati Maggiori delle Forze armate rimasero fermi su posizioni laiciste, di ispirazione risorgimentale, ma addussero ragioni di ordine ideologico – economico e militare. Nel 1925 il Governo italiano e la Santa Sede avviarono, nel massimo riserbo, le trattative per definire il carattere del nuovo Servizio Assistenza Spirituale alle Forze armate in tempo di pace. L’Ordinariato militare per l’Italia venne eretto il 06/03/1925 con Decreto della Sacra Congregazione Concistoriale e approvato dallo Stato Italiano con L. 417/1926 che istituiva un contingente permanente di cappellani in tempo di pace.
Il Concordato del 1929 (artt.13-15) recepì la presenza religiosa nelle Forze armate. Tra il 1930 e il 1934 vi furono cappellani. nella C.R.I., nella Milizia Volontaria di Sicurezza Nazionale, nell’Opera Nazionale Balilla, nell’Opera Nazionale per l’Assistenza Religiosa e Morale agli Operai e nell’Opera Nazionale Dopolavoro. La L. 16/01/1936 definisce la dipendenza dei cappellani direttamente dal Vescovo Castrense. L’entrata in guerra nel 1940 non colse impreparato l’Ordinariato militare per l’Italia che garantì l’assistenza spirituale ai militari su tutti i fronti. Dal 1943, riaffermata la fedeltà al Re d’Italia, Vittorio Emanuele III, l’Ordinariato prese progressivamente le distanze dal Regime Fascista. S.E.R. Mons. Angelo Bartolomasi delineò la nuova “piattaforma ideologica” del clero militare: rafforzare la resistenza della Patria in armi mediante il perseguimento dell’unione nazionale. Dopo la proclamazione dell’Armistizio (08/09/1943), Mons. Bartolomasi non si unì al Re d’Italia, Vittorio Emanuele III, e agli Stati Maggiori delle orze armate nella fuga verso Brindisi, ma assunse una posizione coraggiosamente apolitica per assicurare la continuità del servizio assistenza spirituale alleai militari. Rigettate le offerte di Benito Mussolini per un trasferimento al Nord, ordinò ai cappellani di continuare il servizio spirituale sia sotto la bandiera del neo-costituito Regno del Sud, sia sotto le insegne della Repubblica di Salò. Si istituì il 14/12/1943 la II Sezione dell’Ordinariato a Quinzano (Verona) per l’assistenza spirituale alle Forze armate della Repubblica di Salò con la speranza che la presenza sacerdotale apportasse benefici influssi morali e influenze moderatrici. Ma il 04/03/1945 il Maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani, Ministro della Guerra e Capo di Stato Maggiore delle FF.AA. della Repubblica di Salò, ne dispose la chiusura. Nel Regno del Sud il Governo, presieduto dal Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, non riconobbe legittimità alla Curia Castrense e creò un Ufficio Straordinario con sede a Lecce. Anche nelle formazioni partigiane, Sacerdoti cattolici prestarono la loro opera di Assistenza Spirituale: era un’attività volontaria priva di configurazione giuridica. Furono cappellani militari di fatto. Il 28/10/1944 S.E.R. Mons. Carlo Alberto Ferrero di Cavallerleone, Ordinario militare succeduto a Mons. Angelo Bartolomasi, iniziò una graduale depoliticizzazione dell’Ordinariato militare. Operò nella prospettiva del dopoguerra, inaugurando una nuova fase di apertura nel segno della continuità e nel rispetto della tradizione. Con la smobilitazione, nell’estate-autunno del 1945, gli organici dell’Ordinariato militare si ridussero a poche unità. I primi Vicariati Castrensi d’Europa si reggevano, da un lato sul diritto particolare contenuto nell’atto di erezione e su statuizioni stipulate tra Stati e Santa Sede, dall’altro, su normative ecclesiastiche specifiche per la struttura e l’organizzazione interna. L’Istruzione Sollemne Semper del 23/04/1951 è il primo dettato normativo ecclesiastico a carattere universale a cui si dovevano uniformare gli Ordinamenti dei Vicariati Castrensi (salvo deroghe concordate tra Santa Sede e Stati): essa definì la giurisdizione di Vicario Castrense come vicaria (esercitata in nome e per conto del Sommo Pontefice), ordinaria e speciale, personale, non esclusiva e cumulativa con quella degli Ordinari Diocesani. Per i Religiosi la materia era regolata dall’Istruzione De Cappellanis Militum Religiosis del 02/02/1955.
Per sopperire alle esigenze spirituali delle truppe tutti gli Stati italiani preunitari avevano cappellani militari inseriti nell’organizzazione castrense. Nel 1859 si contavano nel Regno di Sardegna quaranta cappellani di Reggimento e di Fortezza, di Accademie e di Scuole militari; e quando nuove province venivano annesse, il loro clero veniva incorporato. Nel 1865 l’organico del clero castrense del Regno d’Italia era di 189 cappellani.
Con l’occupazione di Roma nel 1870 si aprì un periodo di crisi nei rapporti tra il nuovo Stato e la Chiesa cattolica, il numero dei cappellani fu drasticamente ridotto, fino alla quasi completa scomparsa. Così nella guerra d’Eritrea, del maggio 1896, il servizio religioso ai militari italiani fu garantito dalla volontaria assistenza dei Padri Cappuccini e, nella guerra di Libia del 1911, anche da alcuni sacerdoti diocesani .
Il 12 aprile 1915, nell’imminenza dell’entrata in guerra dell’Italia, il generale Carlo Cadorna firmò una circolare per il ripristino dei cappellani militari; il 1° giugno 1915 la Santa Sede fece fronte alla già avvenuta mobilitazione dei cappellani da parte dello Stato Maggiore segnalando quale responsabile del servizio, con le prerogative di Vescovo Ordinario, monsignor Angelo Lorenzo Bartolomasi, nominato – con decreto luogotenenziale del 27 giugno 1915 – Vicario castrense. I sacerdoti chiamati alle armi, molti dei quali destinati all’assistenza dei soldati al fronte, furono numerosi e tanti si spinsero al sacrificio di sé, come testimoniano le onorificenze al valor militare loro riconosciute.
Sebbene il Codice di Diritto Canonico del 1917 contemplasse la presenza dei cappellani militari al can. 451 § 3, con il Regio Decreto n. 1552 del 29 ottobre 1922, il servizio d’assistenza spirituale venne di nuovo soppresso, ad eccezione di quello svolto per la raccolta delle salme dei caduti e per la sistemazione dei cimiteri di guerra . Rimasero in servizio alcuni cappellani per la Marina, grazie ai quali continuò a sussistere l’istituzione, sino alla costituzione dell’Ordinariato militare, eretto dalla Sacra Congregazione Concistoriale il 6 marzo 1925 e approvato dallo Stato italiano con la legge 417 dell’11 marzo 1926. Il Concordato Lateranense nel 1929 e la successiva la legge n. 77 del 16 gennaio 1936 ribadirono il riconoscimento, e con il regolamento d’esecuzione contenuto nel Regio Decreto n. 474 del 10 febbraio 1936, si delinearono meglio i compiti dei cappellani, chiamati ad assicurare il servizio dell’assistenza spirituale presso le Forze armate; venne inoltre disposta l’assimilazione dei cappellani alle gerarchie militari.
Con l’occupazione di Roma nel 1870 si aprì un periodo di crisi nei rapporti tra il nuovo Stato e la Chiesa cattolica, il numero dei cappellani fu drasticamente ridotto, fino alla quasi completa scomparsa. Così nella guerra d’Eritrea, del maggio 1896, il servizio religioso ai militari italiani fu garantito dalla volontaria assistenza dei Padri Cappuccini e, nella guerra di Libia del 1911, anche da alcuni sacerdoti diocesani .
Il 12 aprile 1915, nell’imminenza dell’entrata in guerra dell’Italia, il generale Carlo Cadorna firmò una circolare per il ripristino dei cappellani militari; il 1° giugno 1915 la Santa Sede fece fronte alla già avvenuta mobilitazione dei cappellani da parte dello Stato Maggiore segnalando quale responsabile del servizio, con le prerogative di Vescovo Ordinario, monsignor Angelo Lorenzo Bartolomasi, nominato – con decreto luogotenenziale del 27 giugno 1915 – Vicario castrense. I sacerdoti chiamati alle armi, molti dei quali destinati all’assistenza dei soldati al fronte, furono numerosi e tanti si spinsero al sacrificio di sé, come testimoniano le onorificenze al valor militare loro riconosciute.
Sebbene il Codice di Diritto Canonico del 1917 contemplasse la presenza dei cappellani militari al can. 451 § 3, con il Regio Decreto n. 1552 del 29 ottobre 1922, il servizio d’assistenza spirituale venne di nuovo soppresso, ad eccezione di quello svolto per la raccolta delle salme dei caduti e per la sistemazione dei cimiteri di guerra . Rimasero in servizio alcuni cappellani per la Marina, grazie ai quali continuò a sussistere l’istituzione, sino alla costituzione dell’Ordinariato militare, eretto dalla Sacra Congregazione Concistoriale il 6 marzo 1925 e approvato dallo Stato italiano con la legge 417 dell’11 marzo 1926. Il Concordato Lateranense nel 1929 e la successiva la legge n. 77 del 16 gennaio 1936 ribadirono il riconoscimento, e con il regolamento d’esecuzione contenuto nel Regio Decreto n. 474 del 10 febbraio 1936, si delinearono meglio i compiti dei cappellani, chiamati ad assicurare il servizio dell’assistenza spirituale presso le Forze armate; venne inoltre disposta l’assimilazione dei cappellani alle gerarchie militari.
Nell’imminenza della Seconda Guerra Mondiale furono reclutati solo alcuni cappellani, e la quasi totalità dei reparti ne restò inizialmente priva. Le cose cambiarono con l’evolversi del conflitto mondiale; i cappellani furono mobilitati sui vari fronti: Balcani e Grecia, Nord Africa e Russia. Molti morirono nell’esercizio del loro ministero sacerdotale. A questi si aggiunsero quanti perirono nella guerra civile, dividendo rischi e pericoli delle fazioni in lotta. Le motivazioni delle onorificenze, di cui tante alla memoria, ripetono le parole assistere, rincuorare, prodigarsi, abnegazione, coraggio, carità.
Terminata la guerra, i cappellani tornati dal fronte, dalla prigionia o dall’internamento, rientrarono nelle loro diocesi o comunità religiose; un ritorno alla pace dopo la bufera della guerra, che aveva lasciato gravi e profonde tracce, ma anche la tenace volontà di assistere quanti erano rimasti soli, orfani, malati e poveri. Così, per iniziativa di alcuni ex cappellani militari nacquero opere assistenziali come la Fondazione pro Juventute per i mutilatini fondato da don Carlo Gnocchi, quello della Madonnina del Grappa a Firenze fondato da don Giulio Facibeni.
La legge del 9 novembre 1955 ammodernò quella del 1936, e giunse la n. 512 del 1° giugno 1961, e sue modifiche, che perfezionò quanto già era divenuto esperienza vissuta, sancendo che «il servizio dell’assistenza spirituale alle Forze armate dello Stato, istituito per integrare, secondo i principi della religione cattolica, la formazione spirituale delle Forze Armate stesse, è disimpegnato da sacerdoti cattolici in qualità di cappellani militari» .
La legge del 9 novembre 1955 ammodernò quella del 1936, e giunse la n. 512 del 1° giugno 1961, e sue modifiche, che perfezionò quanto già era divenuto esperienza vissuta, sancendo che «il servizio dell’assistenza spirituale alle Forze armate dello Stato, istituito per integrare, secondo i principi della religione cattolica, la formazione spirituale delle Forze Armate stesse, è disimpegnato da sacerdoti cattolici in qualità di cappellani militari» .
L’Ordinario militare per l’Italia, con dignità arcivescovile, è designato dal Papa e nominato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con i Ministri della Difesa e dell’Interno , ed è coadiuvato dal Vicario Generale e da tre Ispettori . Per quanto riguarda lo stato giuridico dei «cappellani militari [esso] è costituito dal loro stato di sacerdoti cattolici e dal complesso dei doveri e diritti inerenti al grado di cappellano militare […] La [loro] nomina […] è effettuata con decreto del Presidente della repubblica su proposta del Ministro per la difesa, previa designazione dell’Ordinario militare. I sacerdoti cattolici, per poter conseguire la nomina al grado di cappellano militare, devono possedere il godimento dei diritti politici e la idoneità all’incondizionato servizio militare [… Inoltre il] cappellano militare, all’atto di assumere servizio, deve prestare giuramento con la formula e secondo le modalità previste per gli ufficiali delle Forze armate dello Stato» .
Nel 1984 il nuovo Concordato tra la Santa Sede e l’Italia ribadì la presenza dei cappellani presso le Forze armate dichiarando: «la Repubblica italiana assicura che l’appartenenza alle Forze armate, alla Polizia, o ad altri servizi assimilati, la degenza in ospedali, case di cura o di assistenza pubbliche, la permanenza negl’istituti di prevenzione e pena non possono dar luogo ad alcun impedimento nell’esercizio della libertà religiosa e nell’adempimento delle pratiche di culto dei cattolici. L’assistenza spirituale ai medesimi è assicurata da ecclesiastici nominati dalle Autorità italiane competenti su designazione dell’Autorità ecclesiastica e secondo lo stato giuridico, l’organico e le modalità stabilite d’intesa fra tali autorità» .
Nel 1984 il nuovo Concordato tra la Santa Sede e l’Italia ribadì la presenza dei cappellani presso le Forze armate dichiarando: «la Repubblica italiana assicura che l’appartenenza alle Forze armate, alla Polizia, o ad altri servizi assimilati, la degenza in ospedali, case di cura o di assistenza pubbliche, la permanenza negl’istituti di prevenzione e pena non possono dar luogo ad alcun impedimento nell’esercizio della libertà religiosa e nell’adempimento delle pratiche di culto dei cattolici. L’assistenza spirituale ai medesimi è assicurata da ecclesiastici nominati dalle Autorità italiane competenti su designazione dell’Autorità ecclesiastica e secondo lo stato giuridico, l’organico e le modalità stabilite d’intesa fra tali autorità» .
In attuazione del Concilio e secondo le previsioni del Codice di Diritto canonico, il 21/04/1986 Giovanni Paolo II promulgò la Costituzione Apostolica Spirituali Militum Curae, legge universale speciale per gli Ordinariati Militari di tutto il mondo. Abbandonata la dizione di “Vicariato Castrense”, la Costituzione definisce l’Ordinariato militare come peculiare circoscrizione ecclesiastica giuridicamente assimilata alla Diocesi, retta da Statuto proprio. Gli Ordinari militari sono nominati dal Papa, fanno capo alla Congregazione dei Vescovi o alla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, e partecipano di diritto alla Conferenza Episcopale della Nazione in cui l’Ordinariato militare ha sede. La giurisdizione dell’Ordinario militare è personale, ordinaria, propria ma cumulativa con quella del Vescovo Diocesano. Così i cappellani hanno diritti e doveri dei Parroci e giurisdizione cumulativa con le parrocchie locali. Il Presbiterio è formato da sacerdoti concessi da Vescovi Diocesani e Superiori Religiosi, ma prevede altresì l’erezione di un Seminario proprio con alunni da promuovere ai Sacri Ordini per l’Ordinariato militare.
Giovanni Paolo II con la Costituzione apostolica Spirituali militum curae, asserì che «la Chiesa ha sempre voluto provvedere, con lodevole sollecitudine e in modo proporzionato alle varie esigenze, alla cura spirituale dei militari. Essi, infatti, costituiscono un determinato ceto sociale e, “per le peculiari condizioni della loro vita” (…) hanno bisogno di una concreta e specifica forma di assistenza pastorale (…) anche nel senso comune attribuito dalla società del nostro tempo alla natura e ai compiti delle forze armate nella realtà della vita umana. A questo passo, infine, ha condotto la promulgazione del nuovo Codice di diritto canonico, che, per la verità, ha lasciato immutate le norme relative alla cura pastorale dei militari, fin qui vigenti, che tuttavia oggi sono opportunamente riviste, affinché dalla loro equilibrata composizione ne derivino frutti più abbondanti. Norme di questo genere, invero, non possono essere identiche per tutti i paesi, non essendo uguale, né in assoluto né relativamente, il numero dei cattolici impegnati nel servizio militare, essendo molto diverse le circostanze nei singoli luoghi. È quindi opportuno [- prosegue il Supremo Legislatore Canonico -] che vengano qui stabilite certe norme generali, valide per tutti gli ordinariati militari – chiamati finora vicariati castrensi -, che vanno poi completate, nel quadro della predetta legge generale, con gli statuti emanati dalla Sede apostolica per ciascun Ordinariato» .
Giovanni Paolo II con la Costituzione apostolica Spirituali militum curae, asserì che «la Chiesa ha sempre voluto provvedere, con lodevole sollecitudine e in modo proporzionato alle varie esigenze, alla cura spirituale dei militari. Essi, infatti, costituiscono un determinato ceto sociale e, “per le peculiari condizioni della loro vita” (…) hanno bisogno di una concreta e specifica forma di assistenza pastorale (…) anche nel senso comune attribuito dalla società del nostro tempo alla natura e ai compiti delle forze armate nella realtà della vita umana. A questo passo, infine, ha condotto la promulgazione del nuovo Codice di diritto canonico, che, per la verità, ha lasciato immutate le norme relative alla cura pastorale dei militari, fin qui vigenti, che tuttavia oggi sono opportunamente riviste, affinché dalla loro equilibrata composizione ne derivino frutti più abbondanti. Norme di questo genere, invero, non possono essere identiche per tutti i paesi, non essendo uguale, né in assoluto né relativamente, il numero dei cattolici impegnati nel servizio militare, essendo molto diverse le circostanze nei singoli luoghi. È quindi opportuno [- prosegue il Supremo Legislatore Canonico -] che vengano qui stabilite certe norme generali, valide per tutti gli ordinariati militari – chiamati finora vicariati castrensi -, che vanno poi completate, nel quadro della predetta legge generale, con gli statuti emanati dalla Sede apostolica per ciascun Ordinariato» .
Gli Statuti «assolvono [… dunque la] loro istituzionale funzione di integrare, con disposizioni particolari richieste dalla situazione nazionale, la normativa universale» . L’Ordinariato Militare in Italia è regolato dagli accordi concordatari tra la Santa Sede e lo Stato Italiano, dalla legge statuale che disciplina il servizio di assistenza spirituale alle Forze armate, dalla Costituzione apostolica Spirituali militum curae, dagli Statuti, dal Codex Iuris Canonici per quanto non viene espressamente stabilito nelle pre-scritte disposizioni .
«Con la promulgazione degli Statuti, tutto ciò che è regolato dai medesimi acquista valore di legge particolare ecclesiastica» , come pure legge particolare sono da considerarsi i decreti del Primo Sinodo della Chiesa Ordinariato Militare d’Italia, conclusosi il 6 maggio 1999. Esso asserisce che il servizio militare, per molti, non è un comune lavoro, ma un’autentica vocazione che pone in relazione la vita militare con il comandamento dell’amore a Dio e al prossimo. Nella vita del militare cristiano è possibile sia essere militari che portare le armi per amore: cristiano, infatti, è colui che crede in Cristo Gesù e, come lui, agisce solo per amore. È facile riconoscere l’esercizio della carità nel militare che soccorre le vittime dei terremoti e delle alluvioni e i profughi, mettendo a disposizione il proprio coraggio e la propria competenza, resa più efficace dalla disciplina che lo contraddistingue. Meno facile è riconoscere l’esercizio della carità nel militare impegnato a disinnescare le mine; più difficile ancora nel soldato che pattuglia città e regioni affinché i fratelli non si uccidano tra loro. Lo stesso Sinodo delinea l’articolazione della Chiesa Ordinariato militare in Zone Pastorali e in comunità parrocchiali.
«Con la promulgazione degli Statuti, tutto ciò che è regolato dai medesimi acquista valore di legge particolare ecclesiastica» , come pure legge particolare sono da considerarsi i decreti del Primo Sinodo della Chiesa Ordinariato Militare d’Italia, conclusosi il 6 maggio 1999. Esso asserisce che il servizio militare, per molti, non è un comune lavoro, ma un’autentica vocazione che pone in relazione la vita militare con il comandamento dell’amore a Dio e al prossimo. Nella vita del militare cristiano è possibile sia essere militari che portare le armi per amore: cristiano, infatti, è colui che crede in Cristo Gesù e, come lui, agisce solo per amore. È facile riconoscere l’esercizio della carità nel militare che soccorre le vittime dei terremoti e delle alluvioni e i profughi, mettendo a disposizione il proprio coraggio e la propria competenza, resa più efficace dalla disciplina che lo contraddistingue. Meno facile è riconoscere l’esercizio della carità nel militare impegnato a disinnescare le mine; più difficile ancora nel soldato che pattuglia città e regioni affinché i fratelli non si uccidano tra loro. Lo stesso Sinodo delinea l’articolazione della Chiesa Ordinariato militare in Zone Pastorali e in comunità parrocchiali.
«Appartengono alla Chiesa Ordinariato Militare e sono soggetti alla giurisdizione dell’Ordinario coloro che, battezzati nella Chiesa Cattolica, fanno parte dell’ordinamento militare: coloro che prestano servizio militare in modo temporaneo e continuativo; gli allievi delle Scuole, Accademie e Istituti di formazione militare; i militari cattolici di altre nazionalità residenti e operanti in Italia quando manchi il loro cappellano; i fedeli – sacerdoti, membri di Istituti religiosi o di Società di vita apostolica, laici – che esercitano in modo permanente un servizio loro affidato dall’Ordinario militare. In particolare, tra essi vanno ricordati i sacerdoti collaboratori, le religiose addette agli Ospedali militari e i membri dell’Associazione per l’Assistenza Spirituale alle Forze Armate; il Corpo militare della Croce Rossa Italiana e il Corpo delle Infermiere Volontarie della Croce Rossa Italiana; il personale civile dipendente dall’Amministrazione militare; i componenti delle famiglie dei militari in servizio continuativo e del personale civile dipendente dall’Amministrazione militare, come pure i parenti e le persone di servizio purché residenti nella stessa casa; coloro che prestano servizio nell’ambito del Palazzo del Quirinale e delle residenze facenti parte della dotazione del Capo dello Stato» .
Il Santo Padre Benedetto XVI, nel Discorso tenuto al V Convegno internazionale degli Ordinari militari, evidenziava tra gli obiettivi prioritari della cura spirituale dei militari:« mettere al primo posto la persona significa privilegiare la formazione cristiana del militare, accompagnando lui e i suoi familiari nel percorso della iniziazione cristiana, del cammino vocazionale, della maturazione nella fede e nella testimonianza; e contemporaneamente favorire le forme di fraternità e di comunità, come pure di preghiera liturgica e non, che siano appropriate all’ambiente e alle condizioni di vita dei militari» . In tale contesto si colloca il ministero dei cappellani militari cattolici, chiamati a proporre una visione della persona non viziata da pregiudizi ideologici e culturali o da interessi politici ed economici e consapevoli che la questione militare è questione sociale e come tale diventa questione antropologica. La verità sulla persona non può perdere il suo valore universale per diventare un riferimento “relativo” che spesso rivendica una “tolleranza” anche di fronte ad inaudite concezioni dell’umano. La vita non è un ventaglio di ipotesi priva di riferimenti certi.
Il Santo Padre Benedetto XVI, nel Discorso tenuto al V Convegno internazionale degli Ordinari militari, evidenziava tra gli obiettivi prioritari della cura spirituale dei militari:« mettere al primo posto la persona significa privilegiare la formazione cristiana del militare, accompagnando lui e i suoi familiari nel percorso della iniziazione cristiana, del cammino vocazionale, della maturazione nella fede e nella testimonianza; e contemporaneamente favorire le forme di fraternità e di comunità, come pure di preghiera liturgica e non, che siano appropriate all’ambiente e alle condizioni di vita dei militari» . In tale contesto si colloca il ministero dei cappellani militari cattolici, chiamati a proporre una visione della persona non viziata da pregiudizi ideologici e culturali o da interessi politici ed economici e consapevoli che la questione militare è questione sociale e come tale diventa questione antropologica. La verità sulla persona non può perdere il suo valore universale per diventare un riferimento “relativo” che spesso rivendica una “tolleranza” anche di fronte ad inaudite concezioni dell’umano. La vita non è un ventaglio di ipotesi priva di riferimenti certi.
Lo stesso Pontefice, rivolgendosi al mondo militare, affermava: «il mio grato pensiero va a quanti con diuturno sforzo operano per l’applicazione del diritto internazionale umanitario. Come potrei qui dimenticare i tanti soldati impegnati in delicate operazioni di composizione dei conflitti e di ripristino delle condizioni necessarie alla realizzazione della pace?» .
Le gravi instabilità e ingiustizie del nostro tempo, infatti, provocano interventi militari tesi a garantire, ristabilire o promuovere il rispetto dei diritti fondamentali di persone e collettività. Auspicava d’altronde il 19 agosto 2009 mons. Vincenzo Pelvi, Arcivescovo Ordinario militare per l’Italia: «il terrorismo ha paura della solidarietà, perciò manifesta il disprezzo per la vita umana. Ma le nostre Forze armate, a cui le Istituzioni stanno garantendo ogni sicurezza di mezzi e strutture, con la conquista pacifica dei cuori e delle menti, continueranno, con l’energia e la determinazione di cui sono capaci, a salvaguardare quella convivenza umana per ogni popolo, cultura e religione. La pace, la democrazia e la concordia dei popoli sono valori fondamentali per la nostra comune umanità e per la cultura del popolo italiano: una convinzione questa che qualifica e fa condividere largamente nell’opinione pubblica le missioni di pace in vista di una promozione di comprensione, di riconoscimento reciproco e di cooperazione serena fra tutte le componenti della famiglia umana. Le missioni di pace ci stanno aiutando a valutare da protagonisti il fenomeno della globalizzazione, da non intendere solo come processo socio-economico, ma criterio etico di relazionalità, comunione e condivisione tra popoli e persone. Procedendo con ragionevolezza e guidati dalla carità e dalla verità, il mondo militare contribuisce a edificare una cultura di solidarietà e di responsabilità globale, che ha la radice nella legge naturale e trova il suo ultimo fondamento nell’unità del genere umano» .
Le gravi instabilità e ingiustizie del nostro tempo, infatti, provocano interventi militari tesi a garantire, ristabilire o promuovere il rispetto dei diritti fondamentali di persone e collettività. Auspicava d’altronde il 19 agosto 2009 mons. Vincenzo Pelvi, Arcivescovo Ordinario militare per l’Italia: «il terrorismo ha paura della solidarietà, perciò manifesta il disprezzo per la vita umana. Ma le nostre Forze armate, a cui le Istituzioni stanno garantendo ogni sicurezza di mezzi e strutture, con la conquista pacifica dei cuori e delle menti, continueranno, con l’energia e la determinazione di cui sono capaci, a salvaguardare quella convivenza umana per ogni popolo, cultura e religione. La pace, la democrazia e la concordia dei popoli sono valori fondamentali per la nostra comune umanità e per la cultura del popolo italiano: una convinzione questa che qualifica e fa condividere largamente nell’opinione pubblica le missioni di pace in vista di una promozione di comprensione, di riconoscimento reciproco e di cooperazione serena fra tutte le componenti della famiglia umana. Le missioni di pace ci stanno aiutando a valutare da protagonisti il fenomeno della globalizzazione, da non intendere solo come processo socio-economico, ma criterio etico di relazionalità, comunione e condivisione tra popoli e persone. Procedendo con ragionevolezza e guidati dalla carità e dalla verità, il mondo militare contribuisce a edificare una cultura di solidarietà e di responsabilità globale, che ha la radice nella legge naturale e trova il suo ultimo fondamento nell’unità del genere umano» .